La prigione dorata di Dionisio di Siracusa
Il tiranno Dionisio s'imprigiona con le proprie mani (da Cicerone)
Questa versione dal latino per il secondo anno di liceo presenta un testo adattato da Marco Tullio Cicerone. In questo frammento, il grande oratore dell'età repubblicana ricostruisce la prigione dorata del tiranno Dionisio di Siracusa e di come la brama di potere e il terrore dei nemici avesso costretto una figura tanto potente a temere anche gli affetti più cari. Il testo è spesso utilizzato delle versioni di recupero. La traduzione in italiano è letterale. Nella versione troverai il modo indicativo e congiuntivo in forma attiva e passiva, l'ablativo assoluto, i participi e i principali pronomi, il cum narrativo (cum + congiuntivo) e le proposizioni finali (ut/ne + congiuntivo), le infinitive attive e passive
Dionysius tyrannus, cum bonis parentibus esset atque honesto loco genitus abundaretque et aequalium familiaritatibus et consuetudine propinquorum, credebat eorum nulli, sed corporis custodiam feris barbaris committebat, quos ipse delegerat quibusque nomen servitutis detraxerat. Ita propter iniustam dominatus cupiditatem in carcerem quodam modo ispe se incluserat. Quin etiam, ne tonsori collum committeret, docuit filias suas tondere. Et tamen ab iis ipsis, cum iam essent adultae, ferrum removit instituitque ut candentibus iuglandium putaminibus barbam sibi et capillum adurerent. Cum fossam latam cubiculari lecto circumdedisset eiusque fossae transitum ponticulo ligneo coiunxisset, eum ipsum, cum forem cubiculi clauserat, detorquebat. Idemque cum in communibus suggestis consistere non auderet, contionari ex turri alta solebat.
Il tiranno Dionisio, sebbene avesse buoni parenti e fosse nato in un luogo decoroso e abbondasse nella familiarità dei compagni e nell’intimità dei vicini, non credeva a nessuno di loro, ma affidava la custodia del corpo a barbari feroci, i quali aveva scelto lui stesso e ai quali aveva tolto il nome della servitù. Così a causa della ingiusta brama di controllo poco dopo si era chiuso lui stesso in una sorta di carcere. In verità, per non affidare il collo al barbiere, insegnò perfino alle sue figlie a radere. E tuttavia dalle stesse rimosse il ferro, quando ormai furono adulte, e stabilì che gli bruciassero la barba e la chioma con i gusci roventi delle noci. Avendo circondato il talamo della stanza da letto con un largo fossato e avendo collegato il transito della di lui fossa con un ponticello di legno, lo torceva egli stesso, quando aveva chiuso l’accesso alla stanza da letto. E lo stesso poiché non voleva prendere posto su palchi comuni, era solito pronunciare i discorsi pubblici da un’alta torre.